Tra i posti abbandonati più famosi della Lombardia c’è di sicuro il manicomio di Mombello a Limbiate. Se vuoi visitarlo (sempre nel rispetto delle regole) leggi il resto di questo post: scoprirai come arrivare e avrai la possibilità di conoscere da vicino la storia di questa location, suggestiva e affascinante per il suo carattere spettrale.
Tutto quello che ti serve sapere
Posti abbandonati in Brianza: il manicomio di Mombello a Limbiate
Ti piace fare urbex in Brianza? Allora il manicomio di Mombello a Limbiate è la destinazione giusta per te. Se hai in mente di visitarlo, però, ricorda sempre di rispettare i divieti che trovi nel complesso e di non entrare negli edifici in cui non è permesso farlo: ne va anche della tua incolumità.
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Nelle prossime righe ti spiegherò come visitare il manicomio e ti racconterò la sua storia, parlandoti anche di alcuni dei pazienti più famosi che furono ricoverati qui.
La storia del manicomio
Il manicomio di Mombello a Limbiate fa parte del complesso di Villa Pusterla Crivelli: si tratta di una residenza realizzata nel 1754 su progetto di Francesco Croce a partire da un edificio che esisteva già dal Trecento e che era stato fatto costruire dai Pusterla, una famiglia di nobili lombardi.
Alla fine del XVIII secolo la villa fu scelta come residenza da Napoleone in occasione della campagna d’Italia. A quei tempi la tenuta di Mombello ospitava Maria Nunziata, madre dell’imperatore, e le sorelle Elisa, Carlotta e Paolina: quest’ultima proprio qui si sposò con il generale Charles Victoire Emmanuel Leclerc.
Terminata l’epopea napoleonica, l’area fu abbandonata, per poi essere acquisita dal Comune di Milano, che nel 1863 avviò dei lavori di ristrutturazione.
Nel 1878 il complesso divenne sede di un ospedale psichiatrico destinato ad accogliere i ricoverati della Pia casa della Senavra, cioè il primo nucleo manicomiale della città di Milano (si trovava dove oggi c’è corso XXII Marzo), che era stato aperto nel 1781. Con il tempo la struttura milanese era arrivata ad accogliere oltre 500 pazienti, molto al di là della sua capacità, e fu per questo – oltre che per le precarie condizioni igieniche che la caratterizzavano – che si optò per il trasferimento a Mombello.
In verità il progetto iniziale era quello di realizzare a Mombello solo una colonia agricola che avrebbe dovuto fungere da succursale per un manicomio da realizzare a Desio: questo, però, non fu mai costruito.
Alla fine dell’Ottocento nel manicomio di Mombello lavoravano 6 medici, ma i pazienti erano già 1.250, anche se la capacità massima era di sole 900 persone.
Per questo si decise di edificare nuovi padiglioni, con l’intento di ingrandire la struttura. I pazienti, così, poterono essere divisi a seconda del tipo di malattia da cui erano afflitti e della gravità del disturbo.
Nei primi anni del Novecento divenne anatomista dell’Istituto di Anatomia Patologica della struttura il torinese Giuseppe Paravicini. Questi si dedicò allo studio di tecniche di imbalsamazione sui cadaveri dei pazienti che morivano all’interno del manicomio e che non venivano reclamati dalle rispettive famiglie; forse furono effettuati esperimenti anche su persone ancora in vita. Per lungo tempo le mummie dei pazienti psichiatrici furono conservate nella struttura; attualmente alcune di queste si trovano presso la Collezione Anatomica Paolo Gorini dell’Ospedale Vecchio di Lodi.
Tra il 1911 e il 1931 il manicomio ebbe come direttore sanitario Giuseppe Antonini. Egli si occupò della ristrutturazione dei vecchi edifici in stato di decadenza, anche in contrasto con l’amministrazione provinciale, e gestì il problema del sovraffollamento. Antonini fu una figura molto importante nella storia della psichiatria italiana. Già direttore del Manicomio di Voghera, prima di giungere a Mombello aveva progettato il primo manicomio italiano senza cinta muraria, l’Ospedale psichiatrico di Sant’Osvaldo di Udine: una vera e propria cittadella con tanto di chiesa, teatro cinema e colonia agricola.
Negli anni ’50, la struttura di Mombello venne intitolata proprio ad Antonini.
Nel gennaio del 1953 il manicomio di Mombello divenne suo malgrado protagonista delle cronache nazionali per un tragico evento: uno degli ospiti ricoverati, Alessandro Luigi Lorenzi, uccise due infermieri con lo spazzolone che usava per pulire il pavimento. Bloccato a fatica, stretto in una camicia di forza e trasportato nel reparto “furiosi”, Lorenzi morì a sua volta poche ore dopo, ufficialmente per collasso cardiaco. Nell’articolo della StampaSera del 2 gennaio del 1953 che raccontava il fatto si legge, tra l’altro: Alle nove i pazzi del manicomio di Mombello erano già desti da qualche ora. Nei corridoi e nelle stanze, come fra i vialetti del recinto che cinge sopra un ameno colle il sobrio edificio della ridente villa che fu già dimora di Napoleone e della sua corte, la squallida vita dei poveri alienati si era svegliata come al solito nella più abulica indifferenza. Parole che permettono di capire anche la considerazione che si aveva a quei tempi delle persone con patologie mentali.
Due anni più tardi, l’autorità giudiziaria avviò un’inchiesta sulle morti di due ospiti che erano deceduti dopo essere stati sottoposti all’elettroshock. Il duplice lutto suscitò apprensione tra i ricoverati, visto che nella struttura venivano eseguite ogni mese più o meno 2.500 applicazioni di elettroshock.
Nel 1959, il manicomio di Mombello tornò sui giornali nazionali per un episodio clamoroso e curioso al tempo stesso: venne ricoverato l’autista di una delle ambulanze dello stesso ospedale psichiatrico! L’uomo fu destinato al reparto neurodeliri dopo avere avuto allucinazioni e aver dato in escandescenze.
Negli anni Sessanta, la struttura arrivò ad ospitare oltre 3mila pazienti: era l’ospedale psichiatrico più grande d’Italia.
Nel 1970, la magistratura aprì un’inchiesta a proposito di alcuni suicidi verificatisi nella struttura. Come riportava La Stampa di mercoledì 12 agosto di quell’anno, lo scopo dell’indagine era accertare se il personale del manicomio è all’altezza dei suoi compiti, se le attrezzature sono adeguate ai nuovi indirizzi della psichiatria, tendenti ad abbandonare i vecchi e rigidi sistemi di controllo dei degenti, e infine se viene attuata quella sorveglianza richiesta in tutti gli ospedali e in particolare in quelli per malati di mente. Nello stesso periodo, suscitarono scalpore i casi di alcune gravidanze che interessarono ragazze ospitate nella struttura, forse addirittura frutto di violenze.
Nel 1972, il manicomio subì l’assalto armato di otto banditi con mitra e pistole che lo rapinarono, terrorizzando i ricoverati e portando via oltre 80 milioni di lire destinati alle buste paga.
Ad aprile del 1974, invece, la struttura ospitò un concerto jazz tenuto dal celebre musicista Ornette Coleman e dal suo complesso: era la prima volta che un esperimento di questo tipo, finalizzato a integrare le consuete terapie per i malati psichiatrici con la musica, veniva effettuato in Italia.
Poi, nel 1978 entrò in vigore la Legge Basaglia, che portò alla chiusura della struttura. Con questa legge quadro, infatti, venne imposta la chiusura di tutti i manicomi con la contemporanea istituzione dei servizi di igiene mentale pubblici. L’Italia fu, così, il primo Paese al mondo a decretare l’abolizione degli ospedali psichiatrici.
Il manicomio oggi
E oggi com’è il manicomio di Mombello a Limbiate? Il complesso, che si sviluppa su una superficie di circa 1 milione di metri quadri, è cinto da mura che si sviluppano per circa 3 chilometri di lunghezza.
Villa Crivelli ospita le classi di una scuola superiore, mentre molti degli edifici del resto del complesso sono in disuso e in stato di decadenza.
I padiglioni, infatti, appaiono quasi sventrati, pieni di macerie e vetri rotti, colorati da scritte e murales, anche suggestivi: per questo sono spesso meta di fotografi, urban explorer e graffitari, che non sempre prestano attenzione ai segnali di pericolo.
Se lo desideri, puoi scoprirli ed esplorarli, rispettando – te l’ho già detto ma preferisco ripetertelo – le indicazioni dei cartelli di divieto.
Tieni presente che l’area sta per essere riqualificata e ristrutturata, con la creazione di un centro ricerca internazionale, orti urbani e una fattoria didattica: quindi, se non vuoi perdere l’occasione di vedere da vicino uno dei posti abbandonati in Brianza più conosciuti, ti conviene affrettarti prima che inizino i lavori di restauro.
Manicomio di Mombello a Limbiate: i pazienti famosi
Nel corso della sua lunga storia, il manicomio di Mombello di Limbiate ha accolto diversi pazienti che, per motivi diversi, hanno conosciuto la celebrità:
- Luca Comerio, regista cinematografico e fotografo;
- Benito Albino Mussolini, figlio illegittimo del Duce;
- Giuseppe Benedet, marito della criminale Rita Fort;
- Arturo Santato, noto per avere sequestrato decine di bambini in una scuola lombarda;
- Nunzio Guglielmi, pittore anacronistico;
- Gino Sandri, pittore.
Luca Comerio
Nato a Milano nel 1878, Luca Comerio fu il fotografo che immortalò la repressione del generale Bava Beccaris del 1898, in occasione dei moti popolari di Milano.
All’inizio del Novecento si dedicò anche alla produzione cinematografica, e durante la Prima Guerra Mondiale riprese i campi di battaglia grazie a un brevetto speciale del Ministero della Guerra.
Negli ultimi anni della sua vita fu colpito da problemi di amnesia. Morì il 5 luglio del 1940 a Mombello, all’età di 62 anni.
Benito Albino Mussolini
Benito Albino Mussolini è noto anche come Benito Albino Dalser: la madre, infatti, era Ida Irene Dalser, una trentina titolare di un salone di bellezza. Benito Albino nacque l’11 novembre del 1915 e venne riconosciuto dal padre due mesi più tardi.
Nel 1926 Ida Irene, che si dichiarava legittima consorte del Duce (il quale però era ufficialmente sposato con Rachele Guidi), venne internata in manicomio, prima a Pergine Valsugana e poi a Venezia, dove sarebbe morta nel 1937.
Benito Albino, dopo essere stato in collegio e adottato da uno zio, si arruolò nella Regia Marina, e qui rese nota la sua parentela con il Duce ai commilitoni: quindi fu fatto rimpatriare e rinchiuso – pur essendo sano di mente – a Mombello, dove gli fu diagnosticato un delirio di persecuzione. Nel manicomio morì nel 1942, a 27 anni non ancora compiuti.
Giuseppe Benedet
Giuseppe Benedet era il marito di Rina Fort: costei divenne famosa con il soprannome di “Belva di via San Gregorio” per avere ucciso, il 29 novembre del 1946, la moglie del suo amante e i loro tre figli.
Benedet sostenne di essere finito in manicomio a Mombello a causa degli effetti di una bevanda che la moglie gli aveva offerto.
Arturo Santato
Arturo Santato il 10 ottobre del 1956, insieme con il fratello Egidio, tenne in ostaggio con armi ed esplosivi un centinaio di bambini nella scuola elementare di Terrazzano, frazione di Rho, chiedendo 200 milioni di lire di riscatto. L’assedio richiese l’intervento di decine e decine di agenti delle forze dell’ordine.
I due criminali furono arrestati, e tutti i bambini con le insegnanti si salvarono; l’unica vittima fu Sante Zennaro, un giovane operaio che era intervenuto per aiutare e che fu colpito per sbaglio dai poliziotti.
Arturo Santato fu ricoverato a Mombello dopo questo episodio, ma in precedenza era già stato in manicomio ad Aversa, dove però era stato dimesso per buona condotta con sei mesi di anticipo rispetto alla data prevista.
Nunzio Guglielmi
Nunzio Guglielmi divenne noto nel 1958 per aver vandalizzato lo Sposalizio della Vergine, celebre dipinto di Raffaello ospitato nella Pinacoteca di Brera di Milano.
Armato di un martello, Guglielmi danneggiò il ventre e il gomito della Vergine, lasciando tra i frammenti della doppia lastra del vetro di protezione un foglio in cui propugnava la rivoluzione italiana e la dismissione del governo clericale.
Gino Sandri
Pittore di famiglia nobile (con origini liguri ma cresciuto a Milano), Gino Sandri lavorò come illustratore e partecipò a numerose mostre. Dall’età di 32 anni fu recluso in diverse case di cura. Morì il 6 novembre del 1959 a Mombello, abbandonato da tutti.
Sue opere si trovano oggi al Museum of Fine Arts di Boston e all’Harvard Art Museums di Cambridge.
Manicomio di Mombello a Limbiate: come arrivare
L’ingresso del manicomio di Mombello a Limbiate si trova in via Monte Grappa 40.
Se decidi di arrivare a Limbiate in auto, puoi trovare parcheggio all’esterno del manicomio, in via Monte Grappa.
Preferisci arrivare a Limbiate in treno? In città non c’è una stazione ferroviaria, ma puoi fare riferimento a quella di Bovisio Masciago. Uscito dalla stazione, vai a destra in via Vittorio Veneto e al primo incrocio gira a sinistra in via Napoleone. Vai sempre dritto fino al cartello che segna il confine tra Bovisio e Limbiate, e qui gira a sinistra; arrivato in fondo alla strada, svolta a sinistra in via Monte Grappa e dopo una curva a gomito vedrai l’ingresso del manicomio sulla tua sinistra.
Infine, se pensi di arrivare a Limbiate in autobus ti conviene approfittare delle linee Z205, Z250 o Z251 e scendere alla fermata Mombello – M.te Grappa/M. Foibe. Da qui vai dritto lasciandoti la caserma dei carabinieri sulla sinistra, e poco dopo ti imbatterai nel civico 40 di via Monte Grappa.
Luoghi abbandonati in Lombardia: dove andare in Brianza
Il manicomio di Mombello a Limbiate è solo uno dei tanti luoghi abbandonati in Lombardia che meritano di essere visti. Per scoprire altre location simili in Brianza, dai un’occhiata al post qui sotto: conoscerai posti e storie davvero speciali.
Che cosa vedere a Limbiate
Dopo esserti concesso un po’ di urban exploration in Brianza al manicomio di Mombello a Limbiate, potresti visitare anche il resto della città. Non sai dove andare? Nessun problema: nel post qui sotto trovi i consigli di cui hai bisogno se vuoi sapere che cosa vedere a Limbiate.
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