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Villa La Rovella ad Agliate

Villa La Rovella ad Agliate

Villa La Rovella ad Agliate è un’antica residenza nobiliare, oggi convertita in casa di riposo, che fu costruita per volere di Luigia Verri, figlia di uno dei più importanti illuministi italiani. In questo articolo ti racconto la storia di questa dimora e delle famiglie aristocratiche che vi hanno abitato negli ultimi due secoli. Buona lettura!

Villa La Rovella ad Agliate: le origini

Villa La Rovella è un’antica dimora patrizia di Carate Brianza, situata lungo la strada che, risalendo la vallata del Lambro, dalla Basilica di Agliate porta a Briosco.

L’edificio si trova in prossimità del crinale di Costa Lambro, poco prima del bivio che conduce a Vergo-Zoccorino. Fu costruito tra il 1824 e il 1828 su progetto dell’architetto Giacomo Moraglia, che – per usare le parole di Ignazio Cantù nel suo volume del 1836 Le vicende della Brianza e de’ paesi circonvicini – “seppe conciliare eleganza e magnificenza”.

Villa La Rovella ad Agliate
Villa La Rovella

La posa della prima pietra, avvenuta il 18 maggio del 1824, venne ricordata con una lapide murata all’inizio della scala principale, con l’iscrizione “Questa casa è sacra alla pace conjugale. Il nobile D. Giuseppe Confalonieri la eresse. Ne pose la prima pietra la moglie D. Luigia Verri nel giorno XVIII del maggio MDCCCXXIV”.

La villa è affiancata dall’Oratorio di San Giuseppe, elegante esempio di architettura neoclassica lombarda: a sua volta progettato da Moraglia, si fa notare per la facciata principale che è rivolta verso la strada invece che verso la villa. Al suo interno è presente una pala d’altare che raffigura la Morte di San Giuseppe, realizzata dal pittore cremonese Giuseppe Diotti.

L’oratorio fu costruito come cappella gentilizia per decisione di Luigia Verri (1793-1835), di cui è bene ricostruire l’intricata ragnatela di parentele.

Luigia era:

  • figlia dell’economista e letterato Pietro Verri, ritenuto tra i più importanti esponenti dell’illuminismo in Italia, fondatore della rivista Il Caffè;
  • moglie del conte Giuseppe Confalonieri, esponente della nobile famiglia dei Confalonieri che fu feudataria di Agliate e che ebbe tra i propri membri Ansperto, arcivescovo di Milano cui si attribuisce la fondazione della Basilica dei Santi Pietro e Paolo;
  • cugina di secondo grado di Bianca Visconti, moglie di Carlo Cusani Confalonieri.

Il conte Giuseppe Confalonieri morì nel 1825, e Luigia – rimasta vedova a soli 31 anni – soffrì molto per questa perdita.

Come scritto da Federica Re in Patriottismo e cosmopolitismo nel primo Ottocento: Francesco Cusani Confalonieri, traduttore, storico ed editore lombardo, l’intensa religiosità di Luigia, “intrecciata a una particolare sensibilità per i più bisognosi e il bene comune, le ispirò un’opera di pubblica utilità che ne onorasse la memoria”.

Così nel 1827 la giovane vedova finanziò la costruzione dell’oratorio, intitolato al santo che portava il nome del defunto marito: Giuseppe.

L'Oratorio di San Giuseppe ad Agliate
L’Oratorio di San Giuseppe

Non solo: Luigia fondò una cappellania il cui sacerdote avrebbe avuto l’incarico di celebrare tutti i giorni una messa in memoria del conte Giuseppe, e in più il compito di dedicarsi all’istruzione dei bambini della zona.

Al cappellano sarebbe stata messa a disposizione un’abitazione presso la casa padronale, nei cui locali si sarebbero svolte le lezioni, gratuite e rivolte a bimbi e ragazzi – di età compresa tra i sei e i dodici anni – provenienti dalle famiglie dei non possidenti.

Il maestro avrebbe dovuto insegnare loro il catechismo e rudimenti di lettura, scrittura e aritmetica, avendo cura di far recitare le orazioni anche in lingua italiana.

La “valenza politica della proposta di Luigia”, come sottolineato da Federica Re, era quella di “trasmettere degli strumenti che permettessero a quei giovani di comunicare con una realtà più ampia, sottraendoli dall’isolamento a cui la vita di campagna li costringeva”.

Alla scomparsa del conte Giuseppe Confalonieri, il suo patrimonio venne ereditato dalle sue sorelle, Rosa e Marianna Confalonieri, ma con l’usufrutto vitalizio a beneficio della vedova Luigia.

Fra i beni di cui le sorelle sarebbero entrate in possesso dopo la morte della cognata c’erano alcune proprietà a Montevecchia, la Cascina Belvedere a Cerro al Lambro e – appunto – Villa La Rovella ad Agliate.

Luigia Verri morì il 12 aprile del 1835, a soli quarantuno anni. Due anni più tardi le sorelle Confalonieri si spartirono i beni ereditati: Villa La Rovella finì a Marianna Confalonieri, che era moglie del nobile Antonio De Carli.

Dopo la morte di Marianna, avvenuta nel 1847, e l’estinzione della linea maschile della famiglia De Carli, la dimora caratese fu assegnata a Luigia De Carli (1803-1870), una delle due figlie di Marianna e Antonio.

Luigia De Carli si sposò con Fulvio Barbò (1803-1868): a quel punto, Villa La Rovella entrò a far parte dei possedimenti della famiglia milanese dei Barbò, che l’avrebbe utilizzata soprattutto come residenza estiva.

Villa La Rovella ad Agliate e don Giovanni Bosco

Il casato italiano dei Barbò aveva avuto origine nella seconda metà dell’XI secolo, quando Adalberto Barbos, un nobile proveniente della Baviera, era giunto in Italia e si era stabilito con la famiglia a Soresina, nel Cremonese.

In seguito i Barbò erano stati direttamente coinvolti nelle vicende militari e politiche della zona, e nel 1576 il giovane patrizio cremonese Camillo Barbò aveva acquisito il feudo rurale di Soresina.

I Barbò, che a Milano risiedevano nella contrada dei Bossi, al Broletto, erano conosciuti per le numerose attività benefiche in cui erano coinvolti.

Essi si interessarono, tra l’altro, all’Oratorio di San Vittore, appartenente alla parrocchia milanese di San Fedele: fu in questo contesto che ebbero modo di entrare in contatto con don Giovanni Bosco e guadagnarsi la sua amicizia.

Lo storico caratese Germano Nobili, nel libro Per le antiche contrade, cita una lettera del 26 maggio del 1866 in cui la contessa Luigia De Carli raccomandava la figlia Sofia alle preghiere del presbitero piemontese: la ragazza, rimasta vittima di un incidente che aveva fatto ribaltare la carrozza su cui viaggiava, era ferita a un occhio e rischiava di perdere la vista.

Don Bosco rispose, attraverso una lettera inviata il 30 maggio, con parole di speranza e incoraggiamento, promettendo alla contessa Luigia che sarebbe andato a trovarla entro poco tempo.

Preg.ma Signora,
La divina provvidenza ci manda ora le rose ora le spine per compagne della vita presente, e noi dobbiamo ricevere come dalle mani di un padre pietoso quanto egli manda. Ma un gran pensiero deve consolarci: quanto più saranno pungenti le spine nel tempo, tanto più saranno lusinghiere, belle ed odorifere le rose di gloria nell’eternità. Tuttavia dimandiamo e speriamo.
Fissiamo qualche rimedio spirituale: per tutto il corso del mese di Giugno diciamo ogni giorno tre Pater, ave e gloria al santissimo cuore di Gesù, ed in onore del SS.mo Sacramento; tre Salve a Maria SS. colla giaculatoria Maria auxilium christianorum, ora pro nobis.
Io darò ogni giorno nella santa messa la benedizione all’ammalata; i miei poveri giovinetti faranno ogni giorno speciali preghiere colla santa comunione. Abbiamo fede: Dio ci esaudirà ad eccezione che nella sua infinita sapienza egli prevegga essere di sua maggior gloria il cangiarsi quanto domandiamo pel corpo in cose vantaggiose all’anima.
Ella mi dice di essere disposta di fare in mio favore quanto sarò per dirle Grazie: preghi il Padre celeste, affinchè m’aiuti a salvarmi l’anima, affinchè predicando agli altri non mi accada la disgrazia di dimenticar me stesso. Che se ella nella sua condizione potesse fare qualche cosa materiale, io le raccomando semplicemente la costruzione di una chiesa qui iniziata alla gran Madre di Dio sotto il titolo di Maria Ausiliatrice.
Gradirei di sapere qualche notizia della giovinetta malata dopo quindici giorni, perchè, dovendo fra non molto fare una gita a Milano, andrei a vederla.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e la santa Vergine faccia discendere copiose benedizioni sopra di Lei, e sopra la sua famiglia. Amen.
Di V. S. preg.ma
Torino, 30 Maggio 66

Germano Nobili ha ipotizzato che don Bosco in seguito abbia alloggiato presso La Rovella per più di qualche giorno, avendo l’opportunità di celebrare la messa nell’Oratorio di San Giuseppe e di visitare la Basilica di Agliate. Tale fatto, tuttavia, non è ricordato nel Liber Chronicus della parrocchia di Agliate (cioè il documento su cui i prevosti erano soliti ricordare e descrivere tutti gli eventi più importanti della parrocchia).

Per dimostrare la propria tesi, Nobili cita una lettera del 3 ottobre del 1868 nella quale don Bosco chiedeva alla contessa Luigia De Carli di portare il proprio saluto al prevosto.

Ma il presbitero in questo scritto non menzionava il prevosto di Agliate; anzi, sottolineava esplicitamente che non avrebbe avuto tempo di passare alla Rovella, ma avrebbe fatto visita a Sofia a Milano.

Benemerita Sig.ra Contessa,
Malgrado la mia volontà di fare una visita alla rispettabile di lei famiglia alla Rovella, temo molto che ne sia assolutamente impedito per mancanza di tempo. Circa ai quindici di questo mese passerò a vederla a Milano, se è già di ritorno, altrimenti mi riserbo di poterla ossequiare più tardi.
Si assicuri però, Sig. Contessa, che non ho mai mancato di pregare nella mia pochezza per v. Sg. e per tutta la sua famiglia, e ora farò un memento speciale per Lei e pel sig. di Lei marito nella santa messa.
Mi farebbe cosa veramente cara, se avendone occasione saluterà da parte mia il R.mo Sig. Prevosto, che mi fu tanto cortese, quando fui alla sua parrocchia.
Dio doni a Lei sanità stabile, e a tutta la sua famiglia lunghi anni di vita felice. Io mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, e mi creda.
Di V. S. Ill.ma
Torino, 3 Ottobre 68

E quindi don Bosco alloggiò alla Rovella o no? Secondo Nobili, nel Liber Chronicus non si fa menzione della presenza di don Bosco ad Agliate per il semplice motivo che il parroco locale, don Maurizio Dell’Acqua, essendo ormai molto anziano e affaticato, da tempo aveva smesso di aggiornare la cronistoria parrocchiale.

Nobili riferisce anche che, nella camera di Villa La Rovella in cui avrebbe soggiornato don Bosco, il conte Fulvio Barbò fece porre una lapide in memoria dell’evento. Di questa lapide, però, oggi non rimane alcuna traccia, anche a causa delle modifiche e dei rimaneggiamenti a cui la villa è stata sottoposta nel Novecento.

Tuttavia, varie testimonianze avrebbero certificato l’esistenza di tale lapide: fra queste, quella (citata nel libro Per le antiche contrade) di un salesiano, don Gioachino Barzaghi, caratese per parte di madre e studioso della vita di don Bosco.

D’altro canto, in un’altra lettera scritta alla contessa Sofia Barbò, risalente al 14 gennaio del 1881, don Bosco sembrava accennare a momenti lieti trascorsi alla Rovella parlando di “tempi assai felici, e cose gratissime”.

Benemerita Sig. Contessa,
Ho provato una grande consolazione nel ricevere oggi una sua lettera dalle mani del p. Canfari Barnabita. Carate, Rovella, contessa e conti Barbò, e la loro figlia Sofia richiamano alla memoria dei tempi assai felici, e cose gratissime. Ringrazio Lei, la Sig. Cusani, D. Enrico Colombo della carità che mi fanno. Dio li rimuneri tutti colle sue grazie e benedizioni.
Iddio poi nella sua infinita misericordia benedica Lei, suo sig. marito, tutta la sua famiglia.
Io ho sempre pregato per Lei, e per la sua famiglia, Ella si ricorda di pregare per questo poverello? É per inteso, che venendo a Torino ci favorisca una visita.
Con gratitudine mi creda.
Torino, 14 Gennaio 1881

Secondo don Barzaghi, tra l’altro, la menzione delle “cose gratissime” costituiva un riferimento a un miracolo avvenuto durante il soggiorno agliatese di don Bosco: miracolo di cui, tuttavia, non si hanno notizie.

I conti Albertoni

La contessa Sofia Barbò (1842-1883) si sposò con il conte Alberto Maria Lucio Giovanni Gaetano Clemente Albertoni (1842-1895), della famiglia Albertoni della Val di Scalve. Nato a Cremona il 23 novembre del 1842, il conte Alberto era figlio del conte Francesco Ludovico Albertoni e di donna Maria Amalia Erba Odescalchi. Sofia e Alberto ebbero due figli: Muzio Luigi ed Emerico.

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I conti Albertoni mantennero Villa La Rovella fino agli anni Trenta del Novecento. Poi l’edificio fu acquistato dalla Congregazione delle Suore Infermiere di San Carlo, che lo usò come Casa Madre per le suore.

Ancora oggi Villa La Rovella appartiene all’istituto religioso, che l’ha trasformata in casa di riposo. L’utilizzo prolungato come struttura sanitaria ha causato la parziale scomparsa delle decorazioni interne.

La cripta sotterranea dell’Oratorio di San Giuseppe accoglie la tomba di famiglia degli Albertoni.  

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